Dalla tragedia alla meraviglia
di Janehati
Parlare delle bellezze della Campania e non raccontare di quello che accadde alle falde del Vesuvio nel lontano 79 d.C. è impossibile… Tutti abbiamo sentito almeno una volta parlare della grande eruzione del Vesuvio, che distrusse tra le altre le ricche città di Pompei ed Ercolano, ma forse pochi sanno che da poco il Parco Archeologico ha organizzato delle visite guidate “dietro le quinte”, nelle case normalmente chiuse al pubblico.
Ma esattamente come accadde che Pompei da ricca e fiorente città cadde nell’oblio per oltre quindici secoli?
La storia

Siamo nel 79 d.C., ovvero nel 832 a.U.c. (ab Urbe condita, ovvero “dalla fondazione della Città”), e sul trono dei Cesari siede Tito Flavio Vespasiano. O meglio, fino a giugno ha regnato Tito Flavio Vespasiano senior, meglio noto con il semplice nome di Vespasiano (si, proprio quello dei bagni), alla cui morte è succeduto Tito Flavio Vespasiano junior, per gli amici Tito. Ebbene, siamo nel periodo di regno proprio di quest’ultimo e Pompei è un continuo cantiere: meno di vent’anni prima un fortissimo terremoto si è abbattuto sulla città e se da un lato molte persone decisero di trasferirsi altrove, dall’altro altre vennero attratte dai numerosi affari che potevano essere fatti e iniziarono a risistemare la città.

Anche se si accavalla qualche altro tremolio di terra e strani altri eventi, nulla fa presagire la tragedia che di lì a poco si abbatterà sulla città e che cambierà per sempre il volto della zona. Siamo all’ora di pranzo e con un tremendo boato il Vesuvio, fino a quel momento considerato una semplice montagna, inizia la sua eruzione. Per circa 24 ore un costante flusso di ceneri e pomici e lava e gas tossici fuoriesce dal vulcano, andando a oscurare il cielo con una colonna alta, secondo le moderne stime, oltre 30 km e provocando la morte di oltre 15000 persone.
A questo punto verrebbe da chiedersi: ma non avevano capito le popolazioni locali cosa stava succedendo? Non avrebbero potuto mettersi in salvo? La risposta è no: non avevano alcuna idea di ciò che si era scatenato e di conseguenza non potevano mettere in atto delle azioni razionali per mettere in salvo se stessi e le loro famiglie.

Plinio il Giovane, la cronaca dell’eruzione
I Romani del periodo conoscevano certamente i vulcani e le eruzioni (basti pensare al vicino Etna), ma la loro conoscenza derivava dall’osservazione di eventi di natura effusiva o esplosiva, come il vulcano dell’odierna Stromboli. Mai nessuno aveva assistito a un’eruzione di tipo “pliniano”. Proprio grazie all’avvocato e scrittore Gaio Plinio Cecilio Secondo (Como, 61 – Bitinia, forse Roma, 114), chiamato Plinio il Giovane per non confonderlo con il naturalista Plinio il Vecchio, suo zio materno, abbiamo la descrizione di quanto accadde in quell’infausto giorno.
In una lettera all’amico Tacito, che gli chiese di raccontargli la morte dello zio, all’epoca comandante della flotta del Miseno, racconta:

“[…]Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna (si seppe poi in seguito che era il Vesuvio): nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la figura e la forma. Infatti slanciatasi in su come se si sorreggesse su di un altissimo tronco, si allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami; credo che il motivo risiedesse nel fatto che, innalzata dal turbine subito dopo l’esplosione e poi privata del suo appoggio quando quello andò esaurendosi, o anche vinta dal suo stesso peso, si dissolveva allargandosi: talora era bianchissima, talora sporca e macchiata, a seconda che aveva trascinato con sé terra o cenere.[…]
Ormai, quanto più si avvicinavano, la cenere cadeva sulle navi sempre più calda e più densa, vi cadevano ormai anche pomici e pietre nere, corrose e spezzate dal fuoco, ormai si era creato un bassofondo improvviso ed una frana della montagna impediva di accostarsi al litorale. […]
Nel frattempo dal Vesuvio risplendevano in parecchi luoghi delle larghissime strisce di fuoco e degli incendi che emettevano alte vampate, i cui bagliori e la cui luce erano messi in risalto dal buio della notte.[…]

Senonché il cortile da cui si accedeva alla sua stanza [in cui Plinio si sta riposando dopo essere arrivato alla casa di Pomponiano a Stabia, in attesa del mare favorevole, ndr], riempiendosi di cenere mista a pomici, aveva ormai innalzato tanto il suo livello che, se mio zio avesse ulteriormente indugiato nella sua camera, non avrebbe più avuto la possibilità di uscirne.[…]”
Ma lo stesso racconto di Plinio, o forse di chi ci ha trasmesso le sue parole nel corso dei secoli, ha posto un tranello relativamente al quando avvenne la tragedia: 79 d.C., certo, ma in che momento dell’anno? Ebbene, la trascrizione ritenuta per secoli come più accreditata forniva la data del 24 agosto del 79 d.C., ma sin da quando iniziarono a tornare alla luce le rovine di Pompei nel corso del XVIII secolo, fu chiaro che qualcosa non quadrava: braceri per il riscaldamento, frutta tipicamente autunnale, tracce di vendemmia appena effettuata… troppe incongruenze.

Possibile che Plinio si sia sbagliato? Ecco, oggi gli studiosi sono quasi unanimi nel dire che l’eruzione si svolse almeno nel tardo autunno di quell’anno, spostando avanti la data di circa due mesi. Ma potrebbe non essere stata colpa dello scrittore (a che pro?): come primo aspetto c’è da considerare la distanza temporale dagli eventi raccontati, visto che le epistole a Tacito (una prima che racconta della morte dello zio, una seconda relativamente alla sua esperienza diretta) sono state scritte circa trent’anni dopo l’eruzione; come secondo aspetto c’è la trascrizione amanuense operata nel corso dei secoli successivi che, pur non volendo, può aver riportato degli errori, su cui i copisti seguenti hanno poi lavorato.
Pompei oggi

Dal giorno di quella tragedia per circa 17 secoli è calato il buio sulle città colpite (oltre a Pompei ricordiamo anche Ercolano, Stabia e Oplontis), finché, sporadicamente nel corso del XVI e XVII secolo e poi in maniera più organica a partire dal 1748, sono iniziati e ancora continuano gli interventi di recupero. Gli scavi di Pompei, considerati il terzo polo museale italiano dopo il circuito del Colosseo e Foro Romano e Pantheon, sono riconosciuti dal 1997 come Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Se volete visitarli (e almeno una volta nella vita ve lo consigliamo!), vi suggeriamo di evitare l’estate e munirvi di abbondante crema solare anche in inverno: il parco archeologico è immenso e all’aperto. Ci sono viali alberati in cui riposarsi, ma con le alte temperature estive la copertura rischia di non bastare. Invece è l’ideale visitarlo in primavera o in autunno. Sempre con la crema solare!
Non tutte le domus sono sempre aperte, vuoi per tutelarle dal massiccio afflusso di visitatori, vuoi per gli interventi ordinari e straordinari di restauro, ma se capitate nel corso del mese di marzo, il Parco organizza la manifestazione “Una casa al giorno” in cui si organizzano delle visite guidate in domus normalmente chiuse al pubblico.

Potete trovare tutte le info al seguente link:
http://pompeiisites.org/comunicati/pompei-la-casa-del-giorno-aperture-straordinarie-per-un-programma-di-fruizione-dinamica/
Save the date: ultimo giorno il 31 marzo prossimo!
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