INTERVISTA A GIORGIO NOTTOLI

UNO DEI NOSTRI PIU’ GRANDI COMPOSITORI DI MUSICA ELETTRONICA CONTEMPORANEA

di Michela Flammini

Nato a Cesena nel 1945, Giorgio Nottoli è stato docente di Musica Elettronica al Conservatorio di Roma “S. Cecilia” sino al 2013. Attualmente è docente di Storia, Analisi e Composizione Elettroacustica all’Università di Roma “Tor Vergata”. Ha partecipato a molti festival ed eventi di livello internazionale e tenuto master class e workshop in istituti specializzati di molte diverse nazioni. Nel 2008 ha fondato EMUfest (Festival Internazionale di Musica Elettroacustica del Conservatorio S. Cecilia di Roma), di cui ha coordinato le prime sei edizioni e nel 2018 l’EMUfestSABINA di 3 giorni, che quest’anno, per la quarta edizione, si terrà il 18, 19 e 20 agosto, in collaborazione con il Conservatorio di Rieti.

Il centro della sua ricerca di musicista riguarda il timbro concepito quale parametro principale e “unità costruttiva” delle sue opere attraverso la composizione della microstruttura del suono. Nei suoi lavori per strumenti ed elettronica, punta a estendere la sonorità degli strumenti acustici mediante complesse elaborazioni del suono.

Giorgio Nottoli è anche un ingegnere “promosso sul campo” che ha progettato vari sistemi  per la sintesi e per l’elaborazione del suono, di cui alcuni, come l’Orion, il Mixtral e il Saiph, sono stati realizzati  in collaborazione con varie università, centri di ricerca e aziende del settore degli strumenti musicali elettronici e dell’audio professionale.

In occasione dell’uscita del suo ultimo lavoro, l’Album dal titolo “Pholychrome”, che racchiude alcune tra le sue opere più importanti tra cui “7Isole”, “Trama Sospesa”, “Trama Pulsante”, “Traiettoria Tesa” e “Cometa”, lo abbiamo intervistato per i lettori di “Top-One”:

Per prima cosa, per i neofiti di questo genere, per i giovani abituati ad ascoltare musica “trap”, vogliamo dire qualcosa sulla musica elettronica per così dire “colta” di cui lei oggi è uno dei più importanti esponenti italiani e internazionali?

Prima di tutto vorrei dire che non amo l’aggettivo “colta”, lo sento un po’ esclusivo e scostante. La “musica elettronica” di cui mi occupo preferirei considerarla semplicemente una “musica d’arte”.  Si tratta di un “discorso musicale”, che può essere assimilabile a quello della musica classica del passato, ma che  contiene in sé aspetti di ricerca sviluppati durante tutto il secolo scorso sino ad oggi, che riguardano una profonda evoluzione del linguaggio musicale, resa possibile anche dalla disponibilità delle nuove conoscenze scientifiche e delle tecnologie contemporanee.

Tale evoluzione a portato all’utilizzo esteso del timbro o “colore” del suono inteso come parametro fondamentale della  musica elettroacustica.

Qualche parola in più per chiarire cosa s’intende per timbro in questo tipo di musica. Nella teoria classica, il timbro è separato dalle altre “qualità” del suono: altezza, intensità e durata. Questa visione è funzionale alla notazione musicale tradizionale dove tale separazione è possibile poiché gli strumenti musicali si sono sviluppati in modo da rendere al possibile indipendente il controllo dei parametri basilari del suono. Nella teoria moderna, il timbro comprende tutte le qualità del suono sottolineando le relazioni fra queste in una visione unitaria. Tale visione è funzionale alla libertà di costruzione del suono consentita dai sistemi elettronici per l’analisi, sintesi ed elaborazione del suono.

Ecco che, infine, è possibile comporre il suono, immaginare e realizzare un’opera dalla macroforma ai costituenti microscopici del suono in un unico, libero gesto creativo.

Vorrei precisare che, in realtà, la musica elettronica contemporanea è  chiamata oggi “musica elettroacustica”, termine maggiormente comprensivo dei tanti generi di cui questo settore è composto.

Quali sono le applicazioni pratiche, ad esempio il cinema, per chi si avvicina a questo particolare settore musicale, oggi? Anche le sue opere sono stata utilizzate per film, ce ne parla?

Si, ho collaborato con un giovanissimo regista calabrese, Matteo Scarfò, curando le musiche per il film “Anna, Teresa e le resistenti” (2010), dedicato ad una famosa eroina, Teresa Gullace, che in “Roma città aperta”, era interpretata da Anna Magnani, uccisa dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale.

Alcune musiche erano state realizzate prima, infatti è stato assai curioso il fatto che questo giovane regista, navigando su Internet, ha trovato un mio brano elettronico, ha pensato che fosse perfetto per il suo film e mi ha contattato. Da lì è iniziata questa collaborazione ed alcuni brani sono stati realizzati appositamente per il film.

In realtà questo tipo di musica si addice molto alla cinematografia perché possiede una forbice espressiva particolarmente ampia: essa comprende una grande varietà di materiali, dal rumore sino al suono puro o a suoni ripresi dalla realtà, quindi si presta ad un discorso musicale sia astratto che mimetico atto a sottolineare atmosfere e scene cinematografiche. E’ meno connotata di altri tipi di musica, non contenendo melodie evidenti, “temi”, come spesso richiesto da molti registi: ad esempio, Ennio Morricone ha composto molto in ambito contemporaneo e lui stesso sosteneva che la musica per cui voleva essere ricordato era in realtà proprio questa, ad esempio “Suoni per Dino” un pezzo bellissimo del 1969, dedicato al violinista Dino Asciolla, ancora molto attuale.

Vi è poi il genere elettronico audio-visuale che è perfettamente coerente con gli obbiettivi della musica d’arte che, in questo caso, diviene intermediale. Qui il suono e l’immagine si compenetrano contribuendo in pari misura al risultato finale.

In realtà c’è una connessione tra la musica elettronica colta e quella popolare… la ricerca di nuovi timbri e sonorità, in fondo nasce da lì tutta la vostra arte di compositori… Che ne pensa?

Non è facile tracciare oggi netti confini fra i generi musicali. Nella realtà contemporanea vi sono senz’altro  molteplici  intersezioni e mutue influenze fra le moltissime diverse proposte connotate da un taglio più o meno popolare o colto.

Direi che le vere differenze stanno fra la musica orientata principalmente all’intrattenimento, e la musica d’arte, orientata ad una libera espressione, che tenta di coniugare sentimento e pensiero.

Vi sono anche differenze nei riti sociali associati a generi musicali diversi. A volte sono proprio questi riti a tracciare confini invalicabili tra i fruitori. Non è la stessa cosa ascoltare battendo il tempo con il corpo, danzando o sedendo in silenzio, concentrati, magari con gli occhi chiusi. Il fruitore ideale a cui penso pratica tutte queste modalità di ascolto essendo interessato a ricevere il meglio dalla musica nei  diversi momenti della sua vita. Vi sono momenti per liberare in corpo, altri per danzare, altri per concentrarsi e cogliere le sfumature del suono “pensato” e “organizzato”.

Vi sono poi  differenze linguistiche, proprio per quanto riguarda l’invenzione del suono. Quando si parla di “timbro”  o “colore” del suono, questo lo ritroviamo in effetti anche nella musica pop, solo che in un gruppo pop il timbro caratterizza di solito il gruppo stesso come un’etichetta, si dice “il  sound di…”. Nel caso della nostra musica, in generale, il discorso musicale si basa invece proprio sul timbro. Tale timbro è variato e articolato nel tempo, è esso stesso il nocciolo del linguaggio musicale, ciò su cui l’attenzione dell’ascoltatore dovrebbe concentrarsi. Nella musica pop il timbro è  una coloritura del brano musicale, mentre il linguaggio musicale resta di solito costituito da elementi armonici e melodici di stampo tradizionale.

Bisogna anche dire che, nella musica elettroacustica, vi è anche una importante connessione  con la natura.  In questo ambito, si realizzano moltissimi pezzi che sono composizioni di paesaggi sonori.  Oggi che l’ecologia è divenuta così importante, la composizione del paesaggio sonoro è diventata un punto di riferimento, che associa l’amore per la natura e la sua difesa  a fatti espressivi che riguardano i suoni di un certo luogo ed alla loro elaborazione, quindi che in qualche modo descrivono quel luogo in termini sonori.

Lei ha composto anche questo tipo di musica, ad esempio “Ellenikà”, ce ne parla?

Sì, durante la mia attività di compositore, fra i vari generi che ho affrontato all’interno del settore della musica elettroacustica, vi è la “composizione del paesaggio sonoro”.  Ad esempio, questo brano dedicato alla Grecia. Ellenikà significa “cose greche”. Il lavoro è basato soprattutto su materiale sonoro registrato sul campo: suoni della natura e dell’uomo ripresi nell’isola di Thassos: il mare, il vento, le voci dei turisti in spiaggia ed anche la folla nei mercati con il rilievo dei richiami dei venditori di alimenti. Ho aggiunto poi alcuni elementi sociali e culturali: ho utilizzato suoni registrati durante una drammatica manifestazione di protesta ad Atene e due poesie dedicate da Alceo, una a Saffo e l’altra al tema del naufragio, recitate (ho utilizzato alcuni versi di esse) da una voce meravigliosa, una   professoressa calabrese, Maria Vitale, esperta conoscitrice della lingua greca antica. Una tavolozza sonora così ampia mi ha permesso di muovermi in profondità in un contesto musicale dove il livello descrittivo viene più volte superato da aspetti espressivi: alcuni astratti derivati da complesse elaborazioni dei suoni naturali, altri, concreti, che richiamano i drammi sociali contemporanei compenetrati da immagini sonore costruite a partire da richiami alla cultura greca antica.

Oltre ad essere musicista, Maestro lei è anche creatore di strumenti elettronici come l’Orion, il Mixtral e il Saiph, ce ne parla?

Si, questa è stata una caratteristica particolare della mia vita: io ho studiato al Conservatorio, quindi ho un’istruzione classica di tipo musicale (composizione, chitarra, liuto, ecc.), ma fin da piccolo ho sempre avuto una passione per l’elettronica. A 13 anni ho costruito una radio trasmittente con il primo transistor  arrivato a Cesena, l’avevo chiesto a mia madre come regalo per il mio compleanno, così ho iniziato… Poi ho abbandonato questa strada per quella della musica.   Dall’età di 16 anni fino ai 20, ho lavorato nei night della mia zona: suonavo la chitarra elettrica ed ero appassionato di Jazz…

Solo anni più tardi, in Conservatorio, incontrando la musica elettronica quando già avevo  25 anni, ho iniziato ha progettare e realizzare, da autodidatta, sistemi elettronici applicati appunto alla musica. La prima apparecchiatura mi è stata commissionata dal Conservatorio di Pesaro ed è ancora lì funzionante: è un “sequencer”, un’evoluzione di  quelli che si trovavano negli studi di musica elettronica e nei sintetizzatori analogici degli anni ‘70.

Il “sequencer” SGN (1974) al Conservatorio G.Rossini di Pesaro

Poi sono stato promosso “ingegnere sul campo”, poiché, dopo molte esperienze, ho progettato  vari sistemi che sono stati utilizzati da industrie del comparto degli strumenti musicali elettronici e dell’audio professionale. Fra questi il circuito integrato “Orion”, uno dei pochi realizzati in Italia, un elaboratore numerico di segnali progettato appositamente per la sintesi e l’elaborazione del suono. Un progetto realizzato con un équipe di sole 4 persone nella Società di Informatica Musicale, “SIM”, di cui ero all’epoca presidente.

Orion engineering sample 1990 SIM S.r.l.

Da quel momento, proprio grazie ad Orion, ebbero inizio collaborazioni con varie Università e, in particolare, con l’Università di Roma “Tor Vergata” dove ho insegnato per oltre vent’anni e dove sono attualmente docente di Storia, Analisi e Composizione della Musica Elettroacustica presso il Master in Sonic Arts.

Giorgio Nottoli (al centro) con Antonio Caggiano (a destra) e Gianni Trovalusci (a sinistra)

E’ cambiato, con la musica elettronica, il concetto di “compositore”? Che significa essere alla regia del suono e dei live electronics durante un proprio concerto? Come ci si interfaccia con gli esecutori classici (flautista, percussionista, pianista, ecc)?

Ecco, direi che nella musica elettronica o elettroacustica, che è stata luogo di tante innovazioni, il ruolo del compositore non è cambiato molto. Forse il concetto di “compositore” è mutato maggiormente nel contesto della musica jazz, che è basata sull’improvvisazione o in quello della musica pop, che è spesso basata sulla creatività collettiva del gruppo.

Penso anzi che, nel caso della composizione su supporto fisso o acusmatica, il ruolo del compositore, solo creatore dell’opera, si sia ulteriormente rafforzato. Qui il musicista si comporta un po’ come uno scultore che crea un’opera fissata per sempre e che viene proposta al pubblico senza la necessità di un interprete. Se ci si pensa, si tratta di una novità assoluta nella storia della musica. Sino al secondo dopoguerra, registrare un suono con una certa fedeltà era pura utopia. Credo si debba ammettere che la musica acusmatica rappresenta  una vera novità e che molto dobbiamo ancora aspettarci nel futuro da questo genere elettroacustico, proprio della musica elettronica, che offre al compositore un contesto produttivo senza confini in quanto a possibilità di costruzione del suono.

Per quanto riguarda la musica elettroacustica mista, ciò che a mio parere è cambiato, è il rapporto fra compositore ed esecutore in due diverse direzioni:

La prima riguarda gli ambiti di libertà che molta musica contemporanea lascia all’esecutore,  ampliando il suo ruolo sino a consentirgli di costruire, anche estemporaneamente, una versione personale dell’opera.

La seconda è ancora legata al timbro: il compositore deve necessariamente lavorare con l’esecutore per scegliere e ricercare i materiali sonori per il suo lavoro. Questo, nel caso della musica elettroacustica, è ancora più vero poiché l’elaborazione elettronica del suono strumentale necessita, per sua natura, di una vasta sperimentazione.

Proprio per questo ritengo che il lavoro con gli interpreti sia fondamentale: in realtà io ho ricominciato a scrivere per voce e strumenti acustici molto tardi, dal 1993 in poi: avevo un’età già matura e la maggior parte dei miei lavori per voce o strumento ed elettronica riguardano la fase della mia anzianità.

Mi trovo con gli interpreti, registro i loro discorsi e i loro suoni, cerco di capire quali sono i loro interessi musicali, dove sono gli ambiti in cui eccellono e, soprattutto, cerco di assimilare il loro mondo sonoro. Questo ovviamente riguarda gli strumentisti più bravi che ho conosciuto e che sono divenuti parte della mia vita musicale ed anche carissimi amici, tanto che i miei pezzi sono spesso a loro dedicati.

Ad esempio, nel disco appena uscito, i pezzi che il flautista Gianni Trovalusci interpreta, sono tutti dedicati a lui e lo stesso vale per il percussionista Antonio Caggiano: con loro ci sono state sessioni in cui ho registrato solo i suoni, altre in cui ho scelto le emissioni sonore e gli strumenti da utilizzare.

Il live electronics è lo strumento di una nuova categoria di esecutori, gli “interpreti elettronici”.  Quindi anch’io, quando faccio il live electronics, sono un esecutore come gli  altri.  Questo accade nel disco di cui qui si parla, ma lo stesso ruolo è stato coperto da altri in altre occasioni; per esempio, per Cometa, da Gustavo Delgado al festival “Le forme del suono” a Latina nel 2018 o, per 7Isole, da Isham Hibrahimi alla Hochschule für art a Brema nel 2019.

Nelle sue composizioni viene spesso lasciata molta libertà anche agli esecutori, come aveva fatto ad esempio in passato Maderna in “Serenata per un satellite”… ci spiega come avviene l’esecuzione?

Si, in particolare in un brano presente in questo mio ultimo disco, “Trama sospesa”, che è  dedicato appunto a Maderna. La linea del  flauto è “sospesa” su un lavoro elettronico, un pezzo meditativo dal titolo “Yoghi Manuela”. Il flautista  sceglie di volta in volta un percorso diverso fra i molti possibili, quasi muovendosi su un reticolo, una sorta di labirinto dove la parte elettronica scorre nel tempo e l’esecutore reagisce ad essa scegliendo quale strada prendere. Ogni esecuzione è quindi diversa dall’altra. Ad esempio, la versione incisa sul disco è eseguita dal vivo in occasione dell’inaugurazione del “Festival di Nuova Consonanza” 2020. Qui il flautista Gianni Trovalusci privilegia gli interventi lenti e meditativi, molto in accordo con la parte elettronica. L’esecuzione avrebbe potuto essere anche molto diversa e probabilmente in future occasioni lo sarà…

Le sue composizioni sono quindi costruite per esaltare il timbro, quale parametro principale e “unità costruttiva”, mentre gli strumenti acustici classici sono utilizzati per estenderne la sonorità, mediante complesse elaborazioni del suono. Ci parla della fase creativa di tali composizioni? Come nasce una sua composizione?

In genere mi concedo un lungo periodo in cui cercare e sperimentare il materiale sonoro. Ascolto molto, registro  e lavoro sulla generazione e/o elaborazione elettronica sino a quando non emerge  un’idea musicale. Ho sempre bisogno di un’idea portante che orienti il mio lavoro di compositore verso la costruzione del pezzo, spesso inteso come un “percorso” sonoro da condividere con l’ascoltatore. Ad esempio, nel caso di “Yoghi Manuela”, un mio brano recente (2020), l’idea era relativa alla scoperta di un metodo particolare di respirazione yoga, il “respiro ujjayi”. Questo genera  un rumore particolare, intonato, mettendo in risonanza le cavità nasali. Da qui è nata l’idea di trasformare quel suono nel tempo, fino a farlo diventare un suono complesso e articolato. L’intonazione del respiro della Maestra Manuela Frascarelli, un Do4, mi ha suggerito di utilizzare la serie armonica costruita sul Do1. La forma è nata direttamente dal tipo di percorso, non poteva essere altro che un crescendo.

In certi casi il processo creativo è più complicato: ad esempio in “7Isole” che ha una dimensione notevole (ha una durata di circa 18 minuti), vi sono sia  elettronica dal vivo che flauto e diversi strumenti a percussione  (marimba, glockenspiel, gong, jembè e altri…). L’idea del pezzo è nata lavorando a lungo sui materiali sonori. Spesso, nel nostro tempo, si parte da qui. Infatti, il materiale sonoro, essendo il timbro a caratterizzare la composizione, la lega indissolubilmente allo strumento, non importa se acustico, elettronico o misto. Ad esempio, un pezzo per flauto non può essere suonato da un clarinetto, perché è proprio il materiale timbrico ad essere fondamentale per la costruzione del brano musicale. Quindi, riprendendo il discorso, quasi immediatamente dopo aver caratterizzato il materiale, l’ho associato a  un’idea strutturale astratta: 7 piccoli pezzi di durata molto diversa, “sette isole”, ciascuna delle quali doveva essere un luogo di percezioni distinte, isole pensate  come metafora di 7 diversi luoghi dell’esistenza, dove ogni isola è a sé stante, ma anche in relazione con le altre. A questo punto, ne è seguita la progettazione dei dettagli di questa struttura: un’isola più grande, un’isola piccolissima, ecc.,  quindi, i materiali e le articolazioni musicali sono stati distribuiti nelle diverse isole prima di stendere il pezzo in partitura con tutti i dettagli.

Questo è il brano che apre il disco, qui tutti e tre gli esecutori sono presenti: Gianni Trovalusci al flauto, Antonio Caggiano alle percussioni ed io stesso, come esecutore al live electronics.

Un altro brano dal titolo molto affascinante è “Traiettoria tesa”, cosa si deve aspettare l’ascoltatore da questo pezzo?

Per me è un brano molto importante, un pezzo che mi ha soddisfatto completamente: è il primo che ho scritto per il flautista Gianni Trovalusci e costituisce un vero e proprio percorso di tensioni musicali di diversa intensità, un vero e proprio viaggio nel suono. Il lavoro ha inizio a partire dal soffio dello strumento che viene sviluppato per quasi quattro minuti utilizzando diverse tecniche di emissione ed un’elaborazione  elettronica man mano sempre di più presente. Il passaggio dal soffio al suono pieno del flauto avviene poi gradualmente  con segmenti sempre più continui, dove soffio e suono si alternano. Quest’ultimo  diviene poi predominante attraverso  fasi concitate, addirittura violente o appena udibili. La struttura formale è ampia,  impegnativa per le difficoltà tecniche ed espressive e per la lunga durata (circa 16 minuti), ma il flautista Gianni Trovalusci, cui il lavoro è dedicato, la rende in maniera straordinaria. L’elettronica è stata studiata appositamente per il flauto e tende a creare intorno ad esso una sorta di vero e proprio contrappunto timbrico. Il flautista, mentre suona, interagisce con  la parte elettronica che, a sua volta, è in grado di reagire all’azione dello strumento. Essa è costituita infatti da una sezione di analisi del suono che rende in uscita alcuni parametri (altezza, intensità, quantità di rumore o di suono che il flauto emette), e da un algoritmo di attuazione che reagisce in base a tali parametri elaborando il suono del flauto in modo conseguente.  In tutto questo, il modo di reazione specifico del sistema è deciso dall’interprete elettronico, che segue la  partitura e interagisce con il software in tempo reale.

Tale software è realizzato in linguaggio Max/MSP, un linguaggio grafico con cui si può programmare il computer per elaborare o creare suoni con relativa facilità. È fra i linguaggi più adatti a realizzare questo tipo di composizioni.

“Cometa”, per gong e live electronics, vuole richiamare la ciclicità insita nel brano, come ha realizzato questo tipo di sonorità? Come è composto il pezzo?

“Cometa” è il brano, dal punto di vista elettronico, più complesso fra quelli presenti sul CD, volendo essere critici è un po’ troppo complicato: è un pezzo che ogni anno ho modificato, producendo  versioni diverse della parte elettronica. Ora, dopo molto lavoro, è finalmente piuttosto stabile.

Qui, la capacità di reazione della parte elettronica alle azioni dell’esecutore è massimizzata. Ho usato tantissime diverse bacchette  per ottenere molte sfumature di suono dallo strumento, ma è l’elettronica, però, a svolgere la parte fondamentale per la costruzione timbrica del pezzo: elaborando, accumulando e trasformando il suono del gong, che si presenta così in maniere molto diverse. Il gong è stato scelto con molta cura: è uno strumento di circa 70 cm di diametro, la superficie martellata, che ha un suono molto diverso a seconda di dove viene colpito, per cui vi è una certa aleatorietà del timbro risultante.

Cometa è un brano di più di 17 minuti di durata, una forma molto ampia costituita da tre grandi cicli che sono dedicati: il primo all’attacco del suono, il secondo alla sua permanenza, il terzo al suo decadimento. Metafora della testa, il corpo e la coda  della cometa.

All’inizio vi sono piccoli colpi dall’attacco breve irregolarmente ripetuti, poi, dopo un complesso sviluppo, segue un crescendo costituito da segmenti ritmici sviluppati a partire da  una citazione da Drumming di Steve Reich, mentre nella terza parte sarà riconoscibile  un’altra citazione, ancora in crescendo, da un ritmo tradizionale indiano, lo Shivashankaran.

La parte centrale si presenta quasi come un continuum elettronico: in realtà il suono d’origine è  generato dal percussionista con  un rullo sul gong con bacchette morbide. L’elettronica trasforma questo suono in una  fascia sonora variegata. Dopo un intervento esplosivo del suono del gong percosso con una mazza,  lo strumento al naturale così come ce lo immaginiamo, la parte finale si presenta con la forma di  un lungo rallentando e diminuendo d’intensità e densità. In qualche modo una rappresentazione  dell’idea di coda. Ho lavorato a lungo su questo decrescendo, una figura che, secondo me, nella musica, al contrario del crescendo, è assai difficile da realizzare. Ne è risultata una linea fatta di pause, riprese, cambiamenti di timbro, sino a raggiungere  un pianissimo dove vi è  un accenno di vocalità, ottenuto eccitando il gong con una “magic ball”, ossia una pallina di gomma con una bacchetta, che viene strusciata dando origine ad una sorta di lamento, che termina con un breve, sordo suono finale.

Scultura sonora Die Kathedrale
di Mario Bertoncini

Attualmente a quali nuovi progetti sta lavorando?

In questo momento sto scrivendo un  nuovo pezzo dedicato al mio amico e maestro  Mario Bertoncini, che purtroppo ci ha lasciato nel 2019. Il brano utilizza uno degli strumenti che lui stesso ha inventato. Infatti Mario Bertoncini, nella sua carriera di musicista  ha spesso progettato e realizzato  sculture sonore bellissime. Quella che utilizzerò insieme a flauto, percussione ed elettronica dal vivo, lui la chiamava “Die Kathedrale” (“La Cattedrale” in lingua tedesca; Mario Bertoncini ha vissuto gran parte della sua vita in Germania) e il brano si intitolerà appunto così “Die Kathedrale”. Questo strumento è formato da 51 barrette di acciaio armonico, fissate su un supporto  in ghisa. Lo strumento  viene amplificato e le barrette possono essere percosse, oppure suonate con l’aria compressa producendo così suoni lunghi e bellissimi, “eolici”, che il maestro Bertoncini prediligeva.

La prima esecuzione di questo lavoro è prevista a Roma per la fine di settembre.

Contemporaneamente, nel contesto della mia attività di diffusione della musica elettroacustica e di presidente dell’Associazione “Sabina Elettroacustica”, sto preparando la quarta edizione del Festival “EMUfestSABINA” di 4 giornate, che si terrà il 18, 19, 20 agosto e 17 settembre  in collaborazione con il Conservatorio S. Cecilia di Roma (sede delocalizzata  di Rieti), che ci ha fornito come luogo la villa del grande cantante reatino Mattia Battistini, ed il Comune di Poggio Moiano che ci ospita  presso la bellissima chiesetta di San Martino nello spazio antistante all’aperto, in campagna.

Bellissimi e suggestivi progetti quindi in preparazione, Grazie mille per la Sua disponibilità e ci tenga informati sul Festival che si terrà a breve!

Grazie a voi per l’ospitalità, aspettiamo tutti i lettori di Top-One al nostro Festival!

Grazie per l’invito, ci saremo e ci saranno sicuramente anche loro!


PER MAGGIORI INFO SUL FESTIVAL:

EMUFestSABINA 2021 – Sabina Elettroacustica

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