THE IRISHMAN

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di Valerio Brandi

Disponibile on-line su Netflix dallo scorso 27 novembre 2019, si potrebbe definire un prodotto ormai datato, soprattutto per gli standard di una piattaforma in perenne aggiornamento. Tuttavia, “The Irishman” di Martin Scorsese è un capolavoro che va visto e rivisto, soprattutto durante questo periodo in cui i cinema sono ancora chiusi per via della Fase 2 (e anche quando riapriranno, il ritorno alla normalità sarà molto probabilmente decisamente dilatato).
Sono dunque passati oltre sette mesi dalla sua distribuzione, cominciata prima al cinema (un mese negli Stati Uniti, e purtroppo solo pochi giorni in Italia) e proseguita tutt’oggi in streaming, ma nonostante tutto questo tempo, ci saranno sicuramente persone che non l’hanno ancora visto, e se non conoscono i particolari sulle storie di personaggi realmente esistiti, come Frank Sheeran, Russell Bufalino e Jimmy Hoffa, allora meglio fermarsi qui e rimandare la lettura della recensione a dopo la visione, se ci tenete al fatto che sia libera dagli spoiler. Concludiamo questa premessa consigliando al pubblico di non scoraggiarsi affatto di fronte alla durata di 209’ del lungometraggio: al pari di “C’era una volta… a Hollywood” di Quentin Tarantino, “The Irishman” è una vera e propria opera d’arte cinematografica, che, se vi piace il genere, vi terrà ipnotizzati di fronte allo schermo per tutto il tempo, anche se siete a corto di sonno, come fu per il sottoscritto quando ebbe l’onore di visionarlo in anteprima assoluta lo scorso 21 ottobre 2019 alla quattordicesima Festa del Cinema di Roma, poco prima di incontrare il maestro Martin Scorsese in conferenza stampa…
Frank Sheeran (interpretato da Robert De Niro) è un irlandese di Filadelfia, reduce della Seconda Guerra Mondiale, che lavora come camionista nel trasporto dei quarti di bue. Un giorno gli viene presentato Felix “Skinny Razor” Di Tullio (Bobby Cannavale), un gangster a cui comincia a vendere quella carne, rubandola dai suoi trasporti. Si fa però presto prendere la mano, e, di fronte a un camion vuoto, non può non subire un processo.
Per sua fortuna gli capita un avvocato come Bill Bufalino (Ray Romano), che riesce incredibilmente a farlo assolvere nonostante le prove contro di lui. Sheeran non solo esce pulito, ma senza fare nessun nome, neanche al suo avvocato, che colpito dalla sua bocca cucita, decide di presentargli ufficialmente suo cugino, Russell Bufalino (Joe Pesci), un misterioso tizio che Frank aveva conosciuto per caso due mesi prima, in una stazione di servizio. Fatta amicizia con Russell, la carriera di Sheeran cambierà per sempre. Conoscerà anche Angelo Bruno (Harvey Keitel), che in breve tempo lo farà diventare il miglior sicario al servizio della mafia italiana.
The Irishman è, come accennavamo, una storia vera, ricordando allo stesso tempo che si tratta di un film con attori che recitano, e che cerca di riportare il più possibile con la cinepresa la verità, dato che molte di esse ad oggi non sono del tutto assodate. Nonostante le dichiarazioni poco prima di morire di Frank Sheeran, non sappiamo se quest’ultimo sia stato almeno una volta effettivamente sincero, quindi la morte di Jimmy Hoffa (Al Pacino), come la vediamo nel film, per il momento rimane più una licenza poetica che un fatto storico. Il tempo è galantuomo, e chissà che un giorno non si venga a sapere qualcosa di più, magari grazie al contributo di questo film. Del resto, il cinema è stato spesso d’aiuto alle indagini da tempo dimenticate, basti pensare agli effetti derivati da lungometraggi come “JFK – Un caso ancora aperto” e, più recentemente, “Sulla mia pelle”.
Un film che nonostante questi teorici limiti è comunque una meravigliosa occasione di approfondimento storico, dato che alterna eventi molto noti, come la Baia dei Porci a Cuba, o l’assassinio di Kennedy, a fatti di cronaca conosciuti di solito solo oltreoceano, come l’attentato a Joseph Colombo il 28 giugno del 1971 al Columbus Circle di Manhattan, forse per conto di Joe Gallo (Sebastian Maniscalco), un altro gangster che sembra anche lui essere stato ucciso in seguito da Frank Sheeran. Un’atmosfera d’altri tempi, o meglio, i tempi di “Quei bravi ragazzi” e “Casinò”, solo per limitarci alla filmografia gangster di Martin Scorsese. E come per quest’ultimo e altri del suo genere come “Il Padrino”, il doppiaggio italiano è decisamente un valore aggiunto per coloro che possono e vogliono goderselo.
Se vecchie e nuove generazioni possono ancora osservare interpretazioni di leggende come Robert De Niro, Joe Pesci e Al Pacino, non possiamo purtroppo dire lo stesso di due dei loro doppiatori. Ferruccio Amendola e Manlio De Angelis. Due meravigliosi attori che hanno reso immortali quelle pellicole, e che sarebbe stato bello sentire anche oggi…
Ma questa è solo una dedica alle loro straordinarie carriere, non vuole nulla togliere a coloro che li hanno magistralmente sostituiti, e in più occasioni del resto. Parliamo naturalmente di Stefano De Sando e Leo Gullotta, a pari merito sul podio insieme a Giancarlo Giannini, quest’ultimo fortunatamente doppiatore di Al Pacino fin dal 1975. Doppiaggio Italiano che fa il meglio possibile visti i tempi di oggi, dove sono considerate colonne internazionali (quindi impossibili da toccare) anche i notiziari della radio, o della televisione, piccoli nei di un prodotto di assoluta qualità, grazie alla direzione di Rodolfo Bianchi, tra l’altro voce anche di Angelo Bruno/ Harvey Keitel. L’unica cosa che non può riportare il nostro doppiaggio è la scena in cui Joe Pesci e Robert De Niro parlano davvero in siciliano, ma è una chicca che si può sempre gustare in qualunque momento, dato che Netflix ti garantisce ampia varietà di scelta riguardo all’Audio (non solo versione originale e italiana, ma anche tedesca, francese e spagnola).
Il tempo appunto passa, le persone invecchiano e muoiono, e Martin Scorsese ci racconta anche questo nel suo “The Irishman”, la morte che colpisce tutti, in un modo o nell’altro, anche se sei stato il più ricco e potente dei mafiosi. Empatico anche con loro, ma fino a un certo punto: il finale ci mostra che alla fine non solo si muore, ma le colpe si pagano. Anche se non hai perso per sempre la tua libertà, non si può certo dire lo stesso dell’affetto dei tuoi cari…
Lo scorrere del tempo, reso ancora meglio da una CGI decisamente ben riuscita, che fa ringiovanire i tre mostri sacri, ma senza strafare. Inoltre, la loro “vecchiaia” rende il tutto anche un po’ più credibile. Alcuni ritengono che un De Niro settantaseienne non sia più credibile nel ruolo del sicario mafioso, incapace di fare “pugilato” come un tempo, ma allo stesso tempo per altri, come il sottoscritto, un De Niro più statico e meno d’azione rende il tutto più veritiero e per niente “americanizzato”.
Non c’è nient’altro da dire, se non concludere che ad oggi troviamo ancora assurdo che questo capolavoro non abbia vinto neanche uno dei dieci premi a cui era candidato agli Oscar 2020, ma anche senza quelle ciliegine possiamo comunque continuare a gustarci ogni giorno questa favolosa torta.


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